Dallo smart working … allo smart consulting

Campagna 730/2020
16 Maggio 2020

Non mi sembra di fare retorica nell’affermare che l’emergenza sanitaria ha portato significativi cambiamenti nel modo di vivere e vedere le cose, nel percepire la realtà e, soprattutto, nel modo di relazionarsi con altre persone. Questo ha avuto notevoli ripercussioni anche nel modo di fare business e nel modo di lavorare, contribuendo ad accelerare, quasi in modo vertiginoso, il processo di digitalizzazione già in atto da diverso tempo. E così, facendo di necessità virtù, si è assistito, da un lato, ad un incremento delle vendite on line con conseguente adeguamento delle politiche e strategie commerciali da parte delle aziende (anche quelle più piccole, sino ad arrivare alle imprese individuali), dall’altro alla assegnazione delle mansioni lavorative da remoto, dando vita all’era dello smart working.

Indubbiamente tale modalità di lavoro è applicabile solo per mansioni d’ufficio o comunque legate al settore terziario, ma certamente copre una significativa percentuale di addetti. A onor del vero, lo smart working non è solo lavorare da casa: esso rappresenta una sorta di “filosofia” del lavoro, un modo diverso di collaborare con la propria azienda. Ma questo significa anche definire nuove strategie e politiche del personale, fare formazione mirata, sviluppare nuove competenze. La situazione contingente, invece, ha piegato questa filosofia alla necessità: lo smart working, inteso come lavoro a distanza, era l’unico modo per garantire il distanziamento sociale e anche il nostro Legislatore è interventuto con norme atte a favorire il lavoro da casa, anche in deroga a precedenti dettami, contribuendo non poco alla accelerazione di questa transizione.

Ora ci si interroga su cosa sarà dello smart working. Terminata la pandemia, lo smart working tornerà ad essere una forma di lavoro di nicchia oppure avrà piantato radici profonde e quindi dovrà essere considerato come una forma di collaborazione alternativa a quella classica che tutti conoscevamo? Non è facile dare una risposta, soprattutto perchè non è noto quando si tornerà alla normalità. Ma per molti, lo smart working avrà lasciato il segno e diverrà normalità. Riunioni da remoto, contatti con colleghi, clienti e fornitori diverranno virtuali e certamente la tecnologia contribuirà in modo determinante al funzionamento di tali processi attraverso applicativi in grado di fare videochiamate, file sharing, ecc.

In considerazione di quanto sopra, ritengo che tale processo di digitalizzazione sia applicabile anche nell’ambito della consulenza. Sovente l’imprenditore ritiene che il proprio commercialista debba essere anche geograficamente vicino, ma nella realtà si tratta di una necessità che ormai non esiste più. Un esempio su tutti è rappresentato dalla tenuta della contabilità: fino a circa due anni fa i clienti portavano in studio fisicamente i faldoni con le fatture attive e passive da registrare. Oggi, con la fatturazione elettronica i documenti fiscali si recepiscono direttamente dal Sistema di Interscambio oppure attraverso applicazioni di file sharing direttamente dal cliente. Ancora, nel caso di contenzioso con il Fisco la Pec è divenuta lo strumento principale di comunicazione e anche la giustizia tributaria si sta digitalizzando con l’introduzione del processo tributario telematico. Pertanto, se con lo smart working la necessità di recarsi in azienda è divenuta secondaria, con lo smart consulting viene meno il bisogno di avere il consulente sotto casa. In tal modo la componente geografica nella scelta del professionista perderà sempre più di importanza e si darà maggior peso alla sua rete di conoscenze e di collaborazioni, alle competenze e al servizio offerto.